Una scelta coraggiosa o sconsiderata, a seconda dei punti di vista: Microsoft decide di investire in una nuova linea di prodotto, di immettere capitali in un centro di sviluppo e un team apposito per produrre un tablet, decide di dedicarsi a qualcosa che fino a oggi aveva accuratamente evitato. L’hardware. Intendiamoci, da anni a Redmond producono la Xbox e decine di tastiere, mouse, webcam e dispositivi per la videoconferenza: ma qui si parla di un progetto dal respiro più ampio, si parla di quella famosa frase che recitava più o meno “chi fa sul serio col software deve avere anche il proprio hardware”. Era il mantra della Apple di Steve Jobs.
E così Microsoft si butta sull’hardware. E nella conferenza di presentazione dei tablet Surface lo dice chiaramente in più di un’occasione: hardware e software lavorano assieme e in perfetta simbiosi, segno tangibile che lo scopo è quello di realizzare una piattaforma completa dalla A alla Z, dal bottone di accensione alle app in vendita nel Marketplace, così da offrire ai consumatori un prodotto finito e completo, chiavi in mano. A naso, Surface avrà lo stesso criterio di espandibilità di un MacBook Pro Retina o un MacBook Air: se non si collega a una porta USB, non può essere collegato al PC, e dimenticatevi di espandere memoria, scheda video, disco fisso. Surface è un tablet, il crocevia di una esistenza digitale tarato sulle esigenze medie di un potenziale consumatore. Che, per ovvi motivi, ha bisogno di fare economia di scala per rendersi appetibile sul piano del prezzo di listino. Semplifica l’esperienza utente: tutto sommato, quanti modificano il PC dopo l’acquisto? Pochissimi. Ci sono molte riflessioni da fare su questo punto, ma non è questa l’occasione.
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