L’ufficiale lavora ad uno degli snodi strategici della Nato. Gli passano sotto gli occhi molti rapporti dove sono segnalati episodi degni di nota. Compresi i grandi colpi delle gang informatiche. Quelle che usano i computer per rubare di tutto. Segreti. Denaro. Identità. «Spesso la pista ci porta a est, nel Caucaso», dice con l’esperienza di molte indagini. Ed è forse da queste parti che si nasconde una delle menti di un piano sofisticato. Un’operazione che per ora è stata sventata ma che potrebbe essere ritentata. Con criminali – probabilmente russi – decisi a sfruttare virus ideati per neutralizzare i computer iraniani e scappati al controllo. Contro di loro si sono mossi gli 007 ma anche speciali team mobilitati dai russi «buoni». Come il «Great», una squadra di hacker ingaggiata da Eugene Kaspersky. Diplomato all’accademia di criptologia del Kgb, direttore dell’omonimo laboratorio, grande passione per il vulcani della Kamchatka, un debole per il Chivas, è un cacciatore di «mostri elettronici». Ne segue le tracce, poi prova a stopparli con software di sicurezza che piazza in tutto il mondo. Ha amici e nemici, sostengono che sia troppo vicino ai servizi del suo Paese. Mosca vuole dare una mano a Teheran – attaccata più volte dai «bachi» – ma al tempo stesso cerca di chiudere i buchi attraverso i quali sono pronti ad infilarsi i gangster. Con stangate su scala internazionale che fruttano solo in Russia più di 4 miliardi di dollari. Ed è lo scenario di questa storia, la cui prima pietra è stata posata un po’ di tempo fa.
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