Benigni nella giornata conclusiva delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, cita alcuni scritti di 3 fra i più grandi personaggi del Risorgimento Italiano.

Il primo è uno scritto di Camillo Cavour indirizzato alla contessa di Circourt il 29 dicembre 1860:

«Per parte mia, non ho alcuna fiducia nelle dittature e soprattutto nelle dittature civili.

Io credo che con un Parlamento si possono fare parecchie cose che sarebbero impossibili per un potere assoluto.

Un’ esperienza di 13 anni mi ha convinto che un ministero onesto ed energico, che non abbia nulla da temere dalle rivelazioni della tribuna e non si lasci intimidire dalla violenza dei partiti, ha tutto da guadagnare dalle lotte parlamentari.

Io non mi sono mai sentito debole se non quando le Camere erano chiuse.

D’ altra parte non potrei tradire la mia origine, rinnegare i principi di tutta la mia vita.

Sono figlio della libertà: è ad essa che debbo tutto quel che sono.

Se bisognasse mettere un velo sulla sua statua, non sarei io a farlo.

Se si dovesse riuscire a persuadere gli italiani che hanno bisogno di un dittatore, essi sceglierebbero Garibaldi e non me.

Ed avrebbero ragione.

La via parlamentare è più lunga, ma è più sicura».

 

Il secondo è tratto da “Dei doveri dell’uomo” di Giuseppe Mazzini:

«La Patria non è un territorio, il territorio non ne è che la base.

La Patria è l’idea che sorge su quello; 

è il pensiero d’amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio.

Finché uno solo tra i vostri fratelli non è rappresentato dal proprio voto nello sviluppo della vita nazionale – finché un solo vegeta ineducato fra gli educati – finché uno solo, capace e voglioso di lavoro, langue per mancanza di lavoro, nella miseria – voi non avrete la Patria come dovreste averla, la Patria di tutti, la Patria per tutti.

Il voto, l’educazione, il lavoro sono le tre colonne fondamentali della Nazione; non abbiate posa finché non siano per opera vostra solidamente innalzate».

 

Il terzo è un Memorandum che Giuseppe Garibaldi scrisse alle Potenze d’Europa nel 1860:

«È alla portata di tutte le intelligenze, che L’Europa é ben lungi di trovarsi in uno stato normale e convenevole alle sue popolazioni. (…)

Tutti parlano di civiltà e di progresso…. a me sembra invece che, eccettuandone il lusso, non differiamo molto dai tempi primitivi, quando gli uomini si sbranavano fra loro per strapparsi una preda.

Noi passiamo la nostra vita a minacciarci continuamente e reciprocamente, mentre in Europa la grande maggioranza non solo dell’ intelligenza, ma degli uomini di buon senso, comprende perfettamente che potremmo pur passare la povera nostra vita senza questo perpetuo stato di minaccia e di ostilità degli uni contro gli altri, e senza questa necessità che sembra fatalmente imposta ai popoli da qualche nemico segreto ed invisibile dell’umanità di ucciderci con tanta scienza e raffinatezza.

Per esempio, supponiamo una cosa: Supponiamo che l’Europa formasse un solo Stato. Chi mai penserebbe a disturbarla in casa sua? Chi mai si oserebbe, io ve lo domando, di turbare il riposo di questa sovrana del mondo ? Ed in tale supposizione, non più eserciti, non più flotte, e gli immensi capitali strappati quasi sempre ai bisogni ed alla miseria dei popoli per essere prodigati in servizio di sterminio, sarebbero convertiti invece a vantaggio del popolo (…)

Ebbene ! l’attuazione delle riforme sociali che accenno, dipende soltanto da una potente e generosa iniziativa. (…)

una transazione tra le due più grandi nazioni dell’ Europa, transazione che avrebbe per scopo il bene dell’umanità, non può più essere posta tra i sogni e le utopie degli uomini di cuore.

Dunque la base di una Confederazione europea é naturalmente tracciata dalla Francia e dall’ Inghilterra. Che la Francia e l’Inghilterra si stendano francamente, lealmente la mano, e (…) tutte le nazionalità divise ed oppresse, la gigantesca Russia compresa, non vorranno restar fuori di questa rigenerazione politica.

lo so bene che una obiezione si affaccia naturalmente in opposizione al progetto che precede. Che cosa fare di questa innumerevole massa di uomini impiegati ora nelle armate e nella marina militare? La risposta é facile. (…)

La quantità incalcolabile di lavori creati dalla pace, dall’associazione, dalla sicurezza, ingoierebbe tutta questa popolazione armata, fosse anche il doppio di quello che é oggi.

La guerra non essendo quasi più possibile, gli eserciti diverrebbero inutili. (…)

Desidero ardentemente che le mie parole pervengano a conoscenza di coloro, a cui Dio confidò la santa missione di fare il bene, ed essi lo faranno certamente preferendo ad una grandezza falsa ed effimera la vera grandezza, quella che ha la sua base nell’amore e nella riconoscenza dei popoli».

 

Questo l’intervento integrale (tratto da RAINEWS24.it):

http://www.youtube.com/watch?v=crmSxF_i5B8